“Un vaso di vetro, rotondo e corpacciuto […], senza piede; con una copertura o […] veste di sala che cinge il corpo, e forma apiè di questo la base”.
Questa è la definizione del fiasco nel Vocabolario della Crusca del 1887, ma il fiasco viene menzionato prima dalle fonti letterarie poi da quelle archeologiche, documentarie e iconografiche; anche il Decameron di Giovanni Boccaccio, scritto tra il 1349 e il 1353, vi fa riferimento come recipiente idoneo per contenere ‘vino vermiglio’. Le più antiche testimonianze figurative relative al fiasco impagliato risalgono alla metà del XIV secolo e la figura della donna che riveste i fiaschi all’interno della vetreria, ma spesso anche a casa, comunemente detta fiascaia, risale al XVII secolo. Maneggevole, pratico ed economico, il fiasco era diventato il recipiente più idoneo e comune per la vendita e il trasporto del vino. Tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, il fiasco più comune munito di strisce di sala disposte in senso verticale detto ‘uso Chianti’ era adoperato per imbottigliare il vino da tavola di rapido consumo mentre il fiasco ‘Toscanello’ che conteneva vino di migliore qualità, destinato a compiere viaggi più lunghi, era caratterizzato da un rivestimento più robusto. Oltre ai fiaschi, le vetrerie producevano a soffio libere con il caratteristico vetro di colore verde, altri utensili e recipienti per la vinificazione e conservazione del vino: levaioli, imbuti, canne per infiascare, ampolle da olio ed anche le damigiane.